Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre", rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.
Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. (2Cor 4,5-7)

domenica 6 novembre 2011

Il cortile e la porta (di don Stefano Didonè) - Riflessione in merito all'Anno della fede indetto da Benedetto XVI

L’indizione dell’anno della fede da parte di Benedetto XVI attraverso il Motu proprio “Porta fidei” è un evento che interpella tutta la Chiesa, chiamata continuamente a riscoprire e a rinnovare la professione del proprio credo in un contesto sociale e culturale fortemente secolarizzato e postcristiano. Che la questione della fede nel suo insieme abbia assunto toni drammatici nel contesto occidentale è una consapevolezza ben presente in tutto il magistero di Papa Benedetto: «Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, (...), oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone» (n. 2).
La riflessione teologica, che nella Chiesa svolge il servizio ministeriale di approfondire sistematicamente le “ragioni” del credere ed i “contenuti” della fede, è direttamente interpellata dal compito proposto dal Santo Padre, che in fondo rappresenta un invito alla conversione nel modo di pensare la fede, ovvero nel modo di pensare Gesù come unico Salvatore. Suggerisco qualche sottolineatura nel n. 10 del testo papale che può essere utile per accogliere l’annuncio di questo anno come occasione favorevole anche per il cammino della nostra Diocesi, impegnata a riflettere sulla “fede adulta”, cioè sulla maturazione della fede nella coscienza del battezzato.

Le due dimensioni della fede
La prima sottolineatura riguarda la straordinaria capacità del Papa di tenere unite le due dimensioni fondamentali della fede: quella oggettiva (ciò in cui si crede) e quella soggettiva (l’atto del credere). L’equilibrio tra queste due dimensioni è magistralmente formulato in un passaggio: “Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso” (n. 10). Dopo aver citato Rm 10,10 e l’episodio di Lidia (At 16,14), il Papa aggiunge: “Il cuore indica che il primo atto con cui si viene alla fede è dono di Dio e azione della grazia che agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo”. Queste parole mettono bene il rapporto tra la libertà e la grazia, cioè del concorso tra l’apertura del cuore e la trasformazione di esso realizzata dall’amore di Dio. La libertà, che si esprime attraverso l’agire e le decisioni, scopre che quando si tratta della fede il suo primo “atto” è - paradossalmente - un “dono”. Scopre, cioè, che la decisione di credere è già un frutto della grazia, cioè dell’iniziativa gratuita di Dio in Gesù, che precede ogni tentativo di “risposta” da parte dell’uomo. Appunto perché la libertà è quel singolare dono di Dio che abilita l’uomo a porre la stessa domanda su Dio.

La sincera ricerca dei non credenti
La seconda sottolineatura riguarda il passaggio sulla ricerca della fede: “non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico «preambolo» alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio”. In effetti, di per sé la fede non esige anzitutto “premesse razionali” o “dimostrazioni razionali” dell’esistenza di Dio, ma una libertà che si riconosca come aperta alla grazia. Se ciò che qualifica l’umano è la libertà, è proprio attraverso la libertà che la grazia agisce. Qui possiamo rintracciare la continuità tra la necessità di varcare la soglia della fede e l’opportunità di aprire un dialogo con quanti si pongono in sincera ricerca della verità. In questo senso l’iniziativa del “Cortile dei Gentili” acquista ancora maggiore rilievo: se il “cortile” è lo spazio aperto per il dialogo, il Motu proprio ricorda la necessità del passaggio attraverso la “porta” della fede perché la libertà dell’uomo trovi compimento. Così come non c’è fede senza libertà, non c’è vera libertà senza Cristo. Su questo rapporto si fonda la spinta missionaria della Chiesa, chiamata a comunicare la fede sempre come esperienza di grazia e di gioia.

don Stefano Didonè
(Docente di Teologia fondamentale presso Istituto Teologico affiliato Treviso - Vittorio Veneto)
Giovedi 3 Novembre 2011 - Da "La Vita del Popolo", settimanale della diocesi di Treviso

martedì 1 novembre 2011

per tutti i Santi... e aspiranti tali!

Un giorno, mentre camminava con una consorella lungo il Sile, suor Bertilla disse: “Se noi corressimo verso la perfezione come quest’acqua corre verso il mare, saremmo fortunate”. 
Per chi non conosce Treviso, il Sile è un fiume di risorgiva che nasce in pianura, nelle paludi di Casacorba, passa per Treviso lento e sinuoso, e non ha nessun impeto nel correre verso il mare. Il suo nome, Sile, deriva da "silens", silenzioso, perchè scorre calmo, apparentemente fermo, verso la laguna e il mare... 
Eppure basterebbe la calma del Sile nel camminare, quasi inosservati, verso la santità...
A tutti questo augurio, per la Solennità di tutti i Santi

domenica 16 ottobre 2011

Immagine di chi?


«Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

L’intenzione dei farisei è poco retta: vogliono cogliere in fallo Gesù. Ma il problema che sollevano è scottante per il popolo ebreo: son dominati dalla potenza romana, che batte moneta, detta leggi, riscuote le tasse e impoverisce la gente. Si sentono umiliati da questo potere straniero. E chiedono con sofferenza: è giusto o no per un pio Israelita pagare il tributo a Cesare?

Gesù: La moneta è coniata con l’immagine di chi? Di Cesare! Allora rendete a Cesare quello che è di Cesare… e questo non vi impedirà di rendere a Dio ciò che è di Dio.

Ma cosa è “di Dio?”

Nel libro della Genesi si legge: Dio creò l’uomo a sua immagine.

Qual è dunque la preziosa “moneta” che reca impressa l’immagine di Dio? L’uomo! Rendete dunque a Dio quello che è suo, restituite a Dio ciò che sulla terra reca la sua immagine, conducete uomini a Dio, conducete anime alla consapevolezza di essere sacre, amate, alla conoscenza di Dio, di cui esse son immagine!

In questi giorni assistiamo su scala mondiale alla rivendicazione popolare contro il mondo della finanza che ha avvelenato l’economia. Ma la protesta, se si fa violenta e distruttiva, manca il suo bersaglio.

La Parola di Dio ci richiama a un atteggiamento di pace, dicendoci di non temere, perché la salvezza dell’uomo è promossa sì dalla giustizia e dal benessere economico, ma non è tutta qui.

La salvezza non è questione di pagare o meno una tassa, di sovvertire o meno un ordine politico o economico. La salvezza è riconoscere ciò che è di Dio e rendergli il culto che gli spetta, rendergli culto tramite l’amore per la dignità dell’uomo, che di Dio è l’immagine.

Nietzsche diceva: "di tutto conosciamo il prezzo, di niente il valore". 
Ma tu, per sapere il valore chiedi: di chi è immagine?
  
Shalom! Pace-gioia-prosperità… salvezza!

domenica 9 ottobre 2011

Nozze regali


Commento dell’amica Evelina Monteleone
Ricordate il matrimonio di William e Kate? E come dimenticarlo? Ne hanno parlato per mesi tv, giornali, internet... come si vestiranno, cosa mangeranno, quanto costerà, chi verrà invitato... il matrimonio del secolo!
Chi non ha mai pensato anche solo per un istante “e se fossi invitato anche io?” o addirittura “Se fossi al loro posto?” Chissà cosa avremmo fatto noi, come ci saremmo preparati, vestiti, pettinati…
Cristo sposo della Chiesa
E ci siamo mai accorti di essere invitati alle Nozze del Figlio del Re tutte le domeniche?
E di essere non solo invitati, ma di essere addirittura la Sposa!
La S. Messa è molto di più delle nozze di William e Kate o di qualsiasi altro regnante! Eppure tanti se ne dimenticano o hanno altro da fare o restano a dormire o insultano i sacerdoti (suoi servi) dicendo che loro sono peggiori e che quindi non vale la pena ascoltarli… come se a Messa dovessimo andarci per loro e non per Dio!
E quando ci andiamo spesso siamo distratti, annoiati, non in Grazia di Dio (l’abito nuziale).
“Molti sono chiamati ma pochi eletti” e sfido chiunque a dire che il fatto di essere pochi eletti dipenda da chi chiama… e non invece da chi NON risponde?

domenica 2 ottobre 2011

Una meraviglia ai nostri occhi

Vangelo della XXVII Domenica T.O. (Mt 21,33-43)
Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: 
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
***
Siamo venuti a questo mondo piccoli e senza niente. Ci è stato dato tutto: un grembo, un corpo, una famiglia, casa, cibo e vestito, calore e affetto, la parola, la mente, un popolo, l’istruzione, un lavoro… insomma… la vita. La vita è la vigna che il buon Dio ha piantato per noi, e ci ha dato anche tutti i mezzi per coltivarla e portare frutti.
Ma c’è una strana tendenza che l’uomo ha: appropriarsi di ciò che non è suo!
Giunge il Signore, il Figlio di Dio, l’erede e legittimo proprietario della vigna, per partecipare con noi dei frutti, i suoi frutti che noi abbiamo coltivato…

Reazione: “Costui è l’erede… [fuori programma, spavento, confusione, e ora che cosa ci chiederà!]… Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”

Perché Gesù spaventa tanto? Lui, così mite e senza mezzi? Forse perché dice la verità? Sì, la verità, quando è detta, è un’arma che spaventa… perché l’orecchio umano la riconosce subito. Ma Gesù non è solo colui che dice la verità. Lui è il Figlio di Dio, e sì, i suoi avversari sotto sotto lo riconoscono molto bene… Lui è la Verità che disarma tutti i menzogneri e i sotterfugi, che espropria chi si è appropriato di ciò che non è suo, li espropria con una parola, con il diritto di Colui che è l’Erede, il Signore. “Su uccidiamolo! Qui non c’è altro rimedio, uccidiamolo prima che apra bocca! Avremo l’esclusiva sulla gestione della vita e nessuno ci chiederà più nulla”.

Beati invece i poveri in spirito, coloro che non si appropriano di nulla, ma vivono ringraziando e attendendo tutto da Dio. Essi non si spaventeranno all’arrivo del Signore, ma gioiranno, siederanno a mensa con lui, eredi in eterno delle ricchezze della vita… di essi è il Regno dei cieli!

Questo è stato fatto dal Signore. Una meraviglia ai nostri occhi.

domenica 25 settembre 2011

Cammino di una comunità cristiana


Ritratto di una comunità cristiana, ossia la comunità che rende visibile Cristo per la gioia del mondo.

1. calore umano, conforto vicendevole, sentimenti di amore e di compassione reciproca… son già grandi cose ma è solo l’inizio. C’è di più…
2. Un medesimo sentire, una stessa carità fondata sulla concordia e unanimità. Qui si inizia a far sul serio, non è più solo questione di sentimenti, c’è una stabilità nell’unione che coinvolge anche le opinioni, un’unanimità in cui si rimane, si dimora stabilmente. Un’obbedienza amorevole e impegnativa. E non finisce qui!
3. Niente confronti, rivalità o vanto personale, ma ciascuno considera gli altri superiori a sé, più importanti, e così non cerca il proprio interesse ma anche quello degli altri.
Accidenti! Qui siamo ad altezze che cominciano a dare le vertigini: su andiamo, a chi non piace sentirsi ringraziare e lodare? Suvvia, non sarà mica un peccato grave! No, ma è pericoloso, perché quando ti lodano ti fanno venir la tentazione di considerarti meglio degli altri, mentre la Parola di Dio comanda di considerare gli altri superiori a sé. Ehi, e l’autostima? Oggi tutti i “maestri” predicano l’autostima come primo comandamento per la salute mentale e per la riuscita della vita. E qui Gesù me la butta nel cestino? No! Si tratta di stimare tutti, di ascoltare con attenzione anche il più tontolone, di avere una santa ironia verso sé stessi, una libertà dal giudizio che rende la vita leggera da portare! E così si inizia a volare…
4. … fino all’apice del cammino, che l’Apostolo non riesce a dire in altro modo se non con questo canto:
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre. 

domenica 18 settembre 2011

Chiamati perchè bisognosi...


“Venite anche voi a lavorare nella mia vigna”.

Ma come, Signore? Non avevi  già il numero sufficiente di lavoratori scelti al mattino? E che te ne fai di chi lavora un’ora soltanto verso sera?
Una volta ho udito il Vescovo parlare così a un incontro di catechisti: “Il Signore non chiama a fare i catechisti per il bisogno dei ragazzi, ma perché è il catechista ad averne bisogno per la propria salvezza. E così è per ogni vocazione”.
Molte volte si parla della vocazione, come se Dio non potesse fare senza il nostro aiuto. Si parla così, forse, perché le persone non si muovono se non si sentono gratificate, importanti, indispensabili; hanno bisogno di sentirsi protagonisti, di sentirsi chiamati perché migliori…
Ma in realtà non è così: se Dio ci chiama è perché ne abbiamo bisogno (forse più di altri), altrimenti ci perderemmo nel non-senso dell’ozio, nel non-senso di chi non appartiene a nessuno.

“Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente? – Perché nessuno ci ha presi a giornata! – Andate anche voi nella vigna!”

Pertanto la ricompensa è per tutti uguale. Tutti, dal primo all’ultimo, son stati assunti perché avessero di che vivere, quindi a tutti è dato secondo il loro bisogno e non secondo il loro merito. Il Signore non fa torto a nessuno, disse Santa Teresa d’Avila.

giovedì 25 agosto 2011

vegliate, servite, desiderate... Verso l'Incontro

Vangelo di oggi (Mt 24, 42-51)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni.
Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».

Commento di don Matteo Bigolin, prete della diocesi di Treviso
Hai mai atteso una persona con tutto il cuore?... Gesù non vuole metterci paura con queste parole, bensì ci dice di desiderare con tutto il cuore l'incontro con Lui. Questa è la meta di ogni cristiano: attendere e desiderare l'incontro con lo Sposo, il mio Signore. "Vegliate", cioè rimanete saldi nel Signore, rimanete nel suo amore che Egli è venuto a portarci e a riversare nei nostri cuori grazie allo Spirito Santo che abita in noi. Tu sei nello Spirito Santo quando fai delle tue esperienze quotidiane non una bella collezione, bensì delle occasioni per ascoltare cosa il Signore ti vuole dire; quando hai la pazienza di attendere e non di voler tutto e subito per vedere frutti buoni e positivi nella vita; quando ascolti e fai diventare carne la Parola di Gesù che ogni giorno ti fa rimanere nel suo amore; quando compi un gesto disinteressato senza voler nulla in cambio. Vigila, perché il Signore vuole incontrarti...

domenica 21 agosto 2011

AMANDO SI IMPARA - rocce di amore con Simon Pietro

Vangelo della XXI Domenica T.O. (Mt 16, 13-20)

Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: "La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?". Risposero: "Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti". Disse loro: "Ma voi, chi dite che io sia?". Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". E Gesù gli disse: "Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli".
***
La gente trova un altro personaggio conosciuto, che assomigli a Gesù, e così cercano un modo per definirlo, per capirci qualcosa di Lui. Ma conoscere non è definire.
Simone non è un genio, è un uomo generoso ma con tante fragilità, uno che a volte parla senza sapere bene cosa sta dicendo… Ma Simone vuol bene a Gesù, e perciò Dio, che è Amore, parla tramite la bocca di Simone, gli rivela ciò che in Gesù non si può conoscere se non amandolo, ciò che in Gesù è unico e inedito.
Gesù non è la reincarnazione o la ri-edizione di un’altra persona del passato. Nessuno di noi lo è. Ognuno è unico, irripetibile, assolutamente inedito. Per questo non si conosce una persona cercando una definizione o un paragone, ma amandola. E ciò che si è conosciuto non si può capitalizzare: se smetti di amare una persona, non la conosci più, perdi anche ciò che di lei avevi conosciuto. Perciò amare è faccenda di tutta una vita, e non può essere altrimenti. Anche se si sbaglia, se si ferisce la persona amata, l’importante è riprendere umilmente ad amarla, non staccarsi da lei. Questo ha fatto Simone, perché Gesù stesso l’ha aiutato a farlo.
Questo fa di Simone “la roccia”, ossia Pietro: non lo spirito da leader, non la sua bravura, non il suo coraggio… ma il suo amore per Gesù, il suo attaccamento amorevole alla persona di Gesù, forte come una roccia. E partendo dall’amore di Pietro, Gesù costruisce la Chiesa, la comunità dei suoi amici, rocce di amore: ci chiama a tenerci insieme con forza e visibilmente, ad aiutarci l’un l’altro a credere, a sperare, ad amare.
Grazie Signore per Pietro, grazie per il Papa che Ti ama e attraversa con noi le sfide del nostro tempo e ci indica non sé stesso, ma Te, perché non ci stanchiamo di amarti, e amandoti cercarti, e cercandoti conoscerti, e conoscendoti amarti. E tutto questo, insieme!

martedì 2 agosto 2011

NON ANNI, ANIME! – la festa del perdono di Assisi

Una notte dell'anno del Signore 1216, Francesco era immerso nella preghiera e nella contemplazione nella chiesetta della Porziuncola, quando improvvisamente dilagò nella chiesina una vivissima luce e Francesco vide sopra l'altare il Cristo rivestito di luce e alla sua destra la sua Madre Santissima, circondati da una moltitudine di Angeli. Francesco adorò in silenzio con la faccia a terra il suo Signore!
Gli chiesero allora che cosa desiderasse per la salvezza delle anime. La risposta di Francesco fu immediata: "Santissimo Padre, benché io sia misero e peccatore, ti prego che a tutti quanti, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, conceda ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe".
"Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande - gli disse il Signore -, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza".
E Francesco si presentò subito al Pontefice Onorio III che in quei giorni si trovava a Perugia e con candore gli raccontò la visione avuta. Il Papa lo ascoltò con attenzione e dopo qualche difficoltà dette la sua approvazione. Poi disse: "Per quanti anni vuoi questa indulgenza?". Francesco scattando rispose: "Padre Santo, non domando anni, ma anime". E felice si avviò verso la porta, ma il Pontefice lo chiamò: "Come, non vuoi nessun documento?". E Francesco: "Santo Padre, a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, Egli penserà a manifestare l'opera sua; io non ho bisogno di alcun documento, questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni". E qualche giorno più tardi insieme ai Vescovi dell'Umbria, al popolo convenuto alla Porziuncola, disse tra le lacrime: "Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso!".
(Da "Il Diploma di Teobaldo", FF 3391-3397)

“Non domando anni, ma anime! Gesù dammi anime per Te!”
Una preghiera ardita, che si mette quasi alla pari con Dio, che pretende da Dio quello che Dio stesso desidera.
Così pregò san Francesco, come tanti altri santi prima e dopo di lui, e come Gesù stesso sulla croce: “Padre, perdona loro!”
Che spettacolo i santi, nostri fratelli, deboli peccatori, che implorano per noi:  "Signore, hai perdonato me, hai salvato me, salva ora anche questi miei fratelli!"
Beato chi partecipa alla festa del perdono, perché si attacca con scaltrezza a questa catena di fratellanza, misericordia e gioia.


La festa del perdono si celebra alla chiesa della Porziuncola in Assisi ogni giorno, e il 2 agosto in tutte le chiese francescane e parrocchiali del mondo. Si festeggia per la propria anima e per l’anima dei propri cari che già riposano nell’attesa della risurrezione.

- Celebra il sacramento della confessione (negli otto giorni precedenti o successivi): è la festa di un abbraccio misericordioso di Dio che ri-crea la sua alleanza con te, che sei creato a Sua immagine.
- Rimanga nel tuo cuore il sincero desiderio di distaccarti dal male che avevi commesso e da ogni peccato, prega Dio che ti rinnovi sempre questo desiderio
- Partecipa alla santa Messa e accostati alla Comunione Eucaristica, nella quale c’è la perfetta comunione con Gesù povero e sofferente e con il suo popolo.
- In una chiesa parrocchiale o francescana prega con il Credo, il Padre nostro, e una preghiera per i desideri e le intenzioni del Papa, per la sua salute e santità, per tutte le persone che egli è chiamato a servire…

Buona festa!!!

domenica 31 luglio 2011

DACCI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO – l’abbondanza gratis

A chi continua a spendere denaro per ciò che non sazia… e ha sempre di nuovo fame e sete…

Così dice il Signore:
«O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite;
comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti.
Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide». (Is 55,1-3)

Basta avvicinarsi, ascoltare, aprire le mani, dire la propria fame e sete… aspettando tutto da Dio…
Ma… al solito… quando una cosa è gratis viene immediatamente il sospetto che non valga niente, o peggio, che sia una fregatura…

Commosso dalla gente che lo seguiva e ascoltava la sua parola, Gesù diede loro pane in abbondanza. (dalla Liturgia della XVIII domenica T.O.)

Gesù non è una fregatura, Gesù è Dio che mantiene le promesse, al di là di ogni aspettativa!
Chi lo cerca lo sa!

domenica 17 luglio 2011

VENGA IL TUO REGNO (1) - la presenza

Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». (Mt 13,31-32)

granelli di senape
Il Regno è Gesù, è la sua presenza e il frutto di pace e di giustizia di cui c’è tanto bisogno…
Ebbene: “il futuro del Regno è la grandezza di un albero che offre ombra e dimora agli uccelli del cielo, ma il suo presente è di dimensioni tali che nessuno scommetterebbe su un destino così improbabile. Il Suo Regno è così piccolo da essere quasi invisibile; ci si può essere dentro, averlo dentro, senza accorgersene; e non attrae nessuno, non avendo alcuna pompa”. (da Beato nulla, di Giancarlo Taverna Patron)
Venga il tuo Regno, Signore!

VENGA IL TUO REGNO (2) - la pazienza

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”». (Mt 13,24-30)

Oggi, con una cara amica, parlavamo del Vangelo di questa domenica…
grano e zizzania
Il seme di grano ha lo stesso aspetto di quello di zizzania e, quando vengono seminati, i primi steli che spuntano sono identici anch’essi. Solo al momento del frutto si distingue bene tra le due piante. Gesù insegna che non bisogna giudicare, né estirpare nulla prima del tempo: non possiamo sapere se stiamo estirpando zizzania o grano buono. In un altro brano del Vangelo Gesù insegna: “dai loro frutti li riconoscerete” (Mt 7,15-20). Il fatto è che per il frutto bisogna aspettare… e intanto? E intanto c’è la pazienza, lasciare liberi grano e zizzania, essere misericordiosi, non perché si accetti la zizzania, ma per amore del buon grano, per non perdere nulla del buon grano. Dio è delicato, è giusto, perché quando è il momento sa distinguere e non perde nulla di ciò che è suo. Lasciamo quindi a lui il giudizio, al momento del frutto, e noi, pianticelle o servitori, saremo liberi di usare misericordia verso tutti.
Venga il tuo Regno, Signore!

sabato 2 luglio 2011

una testimonianza di felicità

Dedicato, con ironia, a chi pensa che la gioventù sia tutto e la vecchiaia una disgrazia da allontanare il più possibile…

Dedicato, con affetto, a chi separa la vita in gioventù e vecchiaia, dimenticando invece che è TUTTA, SOLO, VITA…

Dedicato, con un sorriso, a chi pensa che solo un giovane sia adatto a comunicare con un altro giovane…

Dedicato, con simpatia, a chi organizza le veglie di preghiera per le vocazioni, chiamando solo giovani novizie, novizi o seminaristi o novelli sacerdoti per la “testimonianza”…

domenica 26 giugno 2011

Beato chi ha fame di questo pane, beato chi ha fame di Gesù!

Leggi il Vangelo della solennità del Corpus Domini (Gv 6,51-58)
***
“Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.” (Gv 17,3)
“Vita eterna” non significa la vita che viene dopo la morte, mentre la vita attuale è appunto passeggera e non una vita eterna. “Vita eterna” significa la vita stessa, la vita vera, che può essere vissuta anche nel tempo e che poi non viene più contestata dalla morte fisica. È ciò che interessa: abbracciare già fin d’ora “la vita”, la vita vera, che non può più essere distrutta da niente e da nessuno. (da Gesù di Nazaret – dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI)
***
Ma ho ancora una domanda: cos’è questo conoscere Dio Padre e Gesù, questo conoscere che è vita?
Evidentemente non si tratta di conoscere una lezione imparata sui libri. Conoscere una persona è affare di tutta una vita.
Ma c’è di più! Nella Bibbia il verbo conoscere ha sempre un significato molto forte, sinonimo di quella partecipazione reciproca, profonda e irrevocabile che avviene tra due sposi nell’intimità: essi, durante il fidanzamento hanno avvicinato e poi messo insieme sogni, aspirazioni, idee, progetti, forze, mezzi materiali, denaro... infine, con il matrimonio, portano a compimento la loro unione mettendo in comune lo stesso corpo, per essere totalmente l’uno per l’altra.
Ebbene, nell’Eucaristia Gesù ci dona il suo corpo e il suo sangue, si dà a conoscere a noi nel modo più totale, intimo, irrevocabile. “Questo è il mio corpo che è per voi”: così si è consacrato a noi fino in fondo, ha celebrato le sue nozze con l’umanità, perché possiamo vivere di Lui e con Lui, sempre.
A noi ora rispondere con il nostro sì e accoglierlo, conoscere Dio tramite colui che egli ha mandato, Gesù Cristo, per vivere in pienezza, per avere in comune lo stesso suo destino: che niente di noi vada perduto, neanche il nostro debole corpo. Infatti l’amore di Gesù è più forte della morte, e il nostro destino è il suo: la risurrezione.
Beato chi ha fame di questo pane, beato chi ha fame di Gesù: è l’unica fame che non porta al deperimento e alla morte, ma alla vita nel suo gusto più pieno, alla libertà da ogni paura!

venerdì 17 giugno 2011

tutti abbiamo bisogno di un tesoro dove far dimorare il cuore...

“Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore." (Mt 6,19-21)

Donami Signore l’unico tesoro a prova di tarme, ruggine, ladri e disastri… 
il tesoro della Tua presenza che dimora sempre con me, così che il mio cuore possa sempre riposare in Te. 
Tutto il resto è inganno, tutto il resto prima o poi ti lascia a piedi.

domenica 12 giugno 2011

LO SPIRITO SANTO, IL PERDONO, LA NUOVA CREAZIONE

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,21-23).
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Meditando il Vangelo della Pentecoste resto sempre colpita dal legame che c’è tra il dono dello Spirito Santo e il perdono dei peccati.
Ma in effetti è proprio così: l’uomo nasce bello, buono, giusto… chi non sa sorridere con gioia di fronte allo sbocciare di una nuova vita, al vagito di un neonato? Ma poi, ben presto, si fa strada l’esperienza del limite, della paura, dell’aggressività, della pretesa… e qualcosa si spezza, questa meraviglia fragile che è l’uomo si incrina, si rovina… Tutti noi siamo capaci a far del male, ma quasi mai, poi, sappiamo rimediare al male fatto. Hai ferito qualcuno? Puoi chiedere scusa, puoi fargli del bene… ma il male che gli hai fatto resta, non lo puoi più togliere, e ti rimane il rimorso, rimane la paura che torni, rimane il sospetto… Che grande rovina il peccato! Che stupida irreparabile rovina!!!
Ci vorrebbe un reset totale, un ripartire da capo… una NUOVA CREAZIONE. Ed eccola!!!
Il dono, il per-dono di Dio non è come le nostre umane scuse. Esso è la nuova creazione, che realmente ci libera dal male che ci siamo fatti. Questa nuova creazione, evidentemente, non può essere opera umana, come non lo è stata la prima creazione. E’ cosa da Dio, per questo ci vuole lo Spirito Santo, che è Dio con il Padre e con il Figlio.
Grazie Signore Gesù, perché tramite la Chiesa ci dai davvero questo grande Dono, questo per-dono così inaudito che noi non sapremmo dire né credere, se non avessimo i segni efficaci che sono i Sacramenti!
Buona Pentecoste a tutti!!!

venerdì 10 giugno 2011

10 giugno - festa del Beato Enrico da Bolzano (laico, venerato a Treviso)

Enrico era un operaio analfabeta, nato a Bolzano. Lavorò nel suo luogo di origine e, di ritorno da un pellegrinaggio a Roma con la moglie e il figlio Lorenzo, si stabilì vicino a Treviso.
Aveva preso dimora a Biancade, dove per vent'anni fece il boscaiolo e l'uomo di fatica. Ormai vecchio, mortagli la moglie, si recò nella vicina città di Treviso, dove visse abitando in una catapecchia in via Canova, messagli a disposizione da un notaio, e mendicando non per sé ma per i poveri della città: in particolare si impegnava con coraggio e costanza a strappare ai nobili e ai ricchi commercianti consistenti contributi per i più sfortunati. Il vescovo stesso e il signore della città (un da Camino) non gli ricusavano il loro aiuto. A Treviso, come già nella sua Bolzano, fu assiduo alla santa Messa e alla Comunione; pare che visitasse ogni giorno tutte le chiese della città, dormisse su un miserrimo giaciglio, portasse un ruvido saio, fosse dedito a estenuanti veglie di preghiera.
La tradizione attribuisce ad Enrico (“o vero o non vero che si fosse”, come dice il Boccaccio) l'intercessione per numerosi miracoli già da vivo, ma soprattutto dopo morto. Alla sua morte tutte le campane della città avrebbero iniziato a suonare insieme senza che nessuno le azionasse, tradizione citata anche da Gabriele D'Annunzio. Enrico divenne presto popolare in tutta l'Italia del Nord, dove gli vennero dedicati altari ed affreschi in molte chiese (per esempio Santa Toscana a Verona). A Treviso confluivano annualmente migliaia di pellegrini a lui devoti perché lo riconoscevano vicino ai poveri, ai mendicanti, agli emarginati.
Di lui, come detto, si hanno riferimenti già nel Decameron. Così Boccaccio (II giornata, novella I):
«Era, non è ancora lungo tempo passato, un tedesco a Trivigi chiamato Enrico, il quale, povero uomo essendo, di portar pesi a prezzo serviva chi il richiedeva; e con questo, uomo di santissima vita e di buona era tenuto da tutti. Per la qual cosa, o vero o non vero che si fosse, morendo egli, addivenne, secondo che i trevigiani affermano, che nell'ora della sua morte le campane della maggior chiesa di Trevigi tutte, senza essere da alcun tirate, cominciarono a sonare. Il che in luogo di miracolo avendo, questo Enrico esser santo dicevano tutti; e concorso tutto il popolo della città alla casa nella quale il corpo giacea, quello a guisa d'un corpo santo nella chiesa maggior ne portarono, menando quivi zoppi, attratti e ciechi ed altri di qualunque infermità o difetto impediti, quasi tutti dovessero dal toccamento di questo corpo divenir sani.»
Il corpo del beato Enrico è oggi conservato e venerato nella Cattedrale di Treviso, presso un altare laterale vicino all’ingresso, primo santo che accoglie i fedeli all’entrare in chiesa, compagno dei poveri, dei pellegrini, di quelli che siedono negli ultimi banchi e di quelli che entrano in chiesa per la "porta" della carità fraterna.

domenica 15 maggio 2011

RELAX YOURSELF

Oh come si sta bene sulle spalle del Pastore più bello!!!

Leggi il Vangelo della Quarta Domenica di Pasqua (Gv 10,1-10)
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Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno papa
«Io sono il buon Pastore; conosco le mie pecore», cioè le amo, «e le mie pecore conoscono me» (Gv 10, 14). Come a dire apertamente: corrispondono all'amore di chi le ama.
Le sue pecore troveranno i pascoli, perché chiunque lo segue con cuore semplice viene nutrito con un alimento eternamente fresco.
Cerchiamo, quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, nei quali possiamo gioire in compagnia di tanti concittadini. La stessa gioia di coloro che sono felici ci attiri.
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… perché cercare altrove, quando abbiamo già tutto in questi magnifici pascoli? Perché affaticarci dietro al nostro orgoglio? Cerchiamo piuttosto il Signore Gesù: egli ci trova per primo e non ci molla! Un animo rilassato e fiducioso che si lascia amare, affidandosi alle mani di Gesù Buon Pastore, è più saggio di un animo che vuole trovare da sé tutte le risposte e le soluzioni (e fa una gran fatica).
Non sempre ciò che costa più fatica è la scelta migliore!!!
Buona Domenica!

p.s.: il termine italiano "Buon Pastore" traduce l'espressione originale greca "o Poimen o kalos" ... letteralmente "il pastore BELLO"

domenica 8 maggio 2011

TU CONFERMA LA NOSTRA FEDE

Il Santo Padre Benedetto XVI incontra le genti delle Chiese nate dall’annuncio di Aquileia
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Leggi il Vangelo della Terza Domenica di Pasqua (Lc 24,13-35)
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Ecco alcuni passaggi dall’omelia del Santo Padre, durante la S. Messa al parco s. Giuliano a Mestre (VE)… e alcuni pensieri nati dal mio ascolto di questa predicazione

Il Vangelo ora ascoltato presenta l’episodio dei discepoli di Emmaus. Questo episodio mostra le conseguenze che Gesù risorto opera nei due discepoli: conversione dalla disperazione alla speranza; conversione dalla tristezza alla gioia; e anche conversione alla vita comunitaria. Talvolta, quando si parla di conversione, si pensa unicamente al suo aspetto faticoso, di distacco e di rinuncia. Invece, la conversione cristiana è anche e soprattutto fonte di gioia, di speranza e di amore. Essa è sempre opera di Cristo risorto, Signore della vita…

Sì, la conversione è libertà di aprirsi positivamente alla vita, libertà anche di fronte alla morte, perché siamo di Gesù, che è passato per la morte e l’ha vinta. E oggi, al parco s. Giuliano, si respirava davvero aria di gioia, di allegria, di aiuto vicendevole, festa e fede. All’arrivo del Santo Padre, dopo l’esultanza di tutti nell’accoglierlo, è sceso sul parco un profondo clima di silenzio e raccoglimento, incredibile, vista la grande folla che c’era, con gente di tutte le età e anche molti ragazzi e bimbi. In questo silenzio è stata accolta la processione di ingresso e abbiamo iniziato la Santa Messa. L’esultanza dice la gioia di stare insieme e di essere Chiesa. Il silenzio dice la gioia di accogliere Gesù, la fede nel mistero, il desiderio di ascoltare Lui e di non sciupare questo prezioso incontro.

I discepoli di Emmaus, dopo la crocifissione di Gesù, facevano ritorno a casa immersi nel dubbio, nella tristezza e nella delusione. Tale atteggiamento tende, purtroppo, a diffondersi anche nel vostro territorio: questo avviene quando i discepoli di oggi si allontanano dalla Gerusalemme del Crocifisso e del Risorto, non credendo più nella potenza e nella presenza viva del Signore. Il problema del male, del dolore e della sofferenza, il problema dell’ingiustizia e della sopraffazione, la paura degli altri, degli estranei e dei lontani … portano i cristiani di oggi a dire con tristezza: noi speravamo che il Signore ci liberasse dal male, dal dolore, dalla sofferenza, dalla paura, dall’ingiustizia.
È necessario, allora, per ciascuno di noi, come è avvenuto ai due discepoli di Emmaus, lasciarsi istruire da Gesù: innanzitutto, ascoltando e amando la Parola di Dio, letta nella luce del Mistero Pasquale, perché riscaldi il nostro cuore e illumini la nostra mente, e ci aiuti ad interpretare gli avvenimenti della vita e dare loro un senso. Poi, occorre sedersi a tavola con il Signore, diventare suoi commensali, affinché la sua presenza umile nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue ci restituisca lo sguardo della fede, per guardare tutto e tutti con gli occhi di Dio, nella luce del suo amore. Rimanere con Gesù che è rimasto con noi…

Un sacerdote della mia parrocchia dice che “noi speravamo” è una brutta parola, perché la speranza non è mai al passato. E questi discepoli di Emmaus son passati dal “noi speravamo” al “noi crediamo”! Santo Padre, grazie perché ci hai ricordato che non dobbiamo lasciarci istruire dai nostri pareri e lagnanze, ma da Gesù, restando sempre con Lui, imparando a pensare e ad amare con Lui e come Lui, davanti al mondo e alla storia che viviamo. Così vedremo, anche nella nostra terra e nella nostra storia, la salvezza vera. Perché Gesù ha salvato davvero tutti.

Nei secoli passati, le vostre Chiese hanno conosciuto una ricca tradizione di santità e di generoso servizio ai fratelli… Se vogliamo metterci in ascolto del loro insegnamento spirituale, non ci è difficile riconoscere l’appello personale e inconfondibile che essi ci rivolgono: Siate santi! Ponete al centro della vostra vita Cristo! Costruite su di Lui l’edificio della vostra esistenza. In Gesù troverete la forza per aprirvi agli altri e per fare di voi stessi, sul suo esempio, un dono per l’intera umanità.

“Siate santi!” Ogni giovane, crescendo, si sente rivolgere vari tipi di auguri e auspici: sii bravo, sii buono, abbi successo, sii intelligente, sii generoso, sii sano, sii forte… Ma di rado qualcuno ha l’ardire di dire a un altro: sii santo. Sembra una cosa esagerata, per noi poveri umani. Meglio accontentarci di risultati e soddisfazioni più terrene. Grazie Santo Padre perché tu, oggi, hai avuto l’ardire e la fiducia di rivolgerci invece proprio queste parole: Siate santi! E ce le hai rivolte in nome e per conto di Gesù stesso. Quale invito potrebbe essere più esaltante di questo? Quale augurio più bello? Grazie Santo Padre per aver confermato la nostra fede, per la stima che hai per noi, perché ci annunci la fiducia che Gesù ha in noi e il suo grande desiderio di vederci tutti, tutti santi!