Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre", rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.
Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. (2Cor 4,5-7)

domenica 26 giugno 2011

Beato chi ha fame di questo pane, beato chi ha fame di Gesù!

Leggi il Vangelo della solennità del Corpus Domini (Gv 6,51-58)
***
“Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.” (Gv 17,3)
“Vita eterna” non significa la vita che viene dopo la morte, mentre la vita attuale è appunto passeggera e non una vita eterna. “Vita eterna” significa la vita stessa, la vita vera, che può essere vissuta anche nel tempo e che poi non viene più contestata dalla morte fisica. È ciò che interessa: abbracciare già fin d’ora “la vita”, la vita vera, che non può più essere distrutta da niente e da nessuno. (da Gesù di Nazaret – dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI)
***
Ma ho ancora una domanda: cos’è questo conoscere Dio Padre e Gesù, questo conoscere che è vita?
Evidentemente non si tratta di conoscere una lezione imparata sui libri. Conoscere una persona è affare di tutta una vita.
Ma c’è di più! Nella Bibbia il verbo conoscere ha sempre un significato molto forte, sinonimo di quella partecipazione reciproca, profonda e irrevocabile che avviene tra due sposi nell’intimità: essi, durante il fidanzamento hanno avvicinato e poi messo insieme sogni, aspirazioni, idee, progetti, forze, mezzi materiali, denaro... infine, con il matrimonio, portano a compimento la loro unione mettendo in comune lo stesso corpo, per essere totalmente l’uno per l’altra.
Ebbene, nell’Eucaristia Gesù ci dona il suo corpo e il suo sangue, si dà a conoscere a noi nel modo più totale, intimo, irrevocabile. “Questo è il mio corpo che è per voi”: così si è consacrato a noi fino in fondo, ha celebrato le sue nozze con l’umanità, perché possiamo vivere di Lui e con Lui, sempre.
A noi ora rispondere con il nostro sì e accoglierlo, conoscere Dio tramite colui che egli ha mandato, Gesù Cristo, per vivere in pienezza, per avere in comune lo stesso suo destino: che niente di noi vada perduto, neanche il nostro debole corpo. Infatti l’amore di Gesù è più forte della morte, e il nostro destino è il suo: la risurrezione.
Beato chi ha fame di questo pane, beato chi ha fame di Gesù: è l’unica fame che non porta al deperimento e alla morte, ma alla vita nel suo gusto più pieno, alla libertà da ogni paura!

venerdì 17 giugno 2011

tutti abbiamo bisogno di un tesoro dove far dimorare il cuore...

“Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore." (Mt 6,19-21)

Donami Signore l’unico tesoro a prova di tarme, ruggine, ladri e disastri… 
il tesoro della Tua presenza che dimora sempre con me, così che il mio cuore possa sempre riposare in Te. 
Tutto il resto è inganno, tutto il resto prima o poi ti lascia a piedi.

domenica 12 giugno 2011

LO SPIRITO SANTO, IL PERDONO, LA NUOVA CREAZIONE

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,21-23).
***
Meditando il Vangelo della Pentecoste resto sempre colpita dal legame che c’è tra il dono dello Spirito Santo e il perdono dei peccati.
Ma in effetti è proprio così: l’uomo nasce bello, buono, giusto… chi non sa sorridere con gioia di fronte allo sbocciare di una nuova vita, al vagito di un neonato? Ma poi, ben presto, si fa strada l’esperienza del limite, della paura, dell’aggressività, della pretesa… e qualcosa si spezza, questa meraviglia fragile che è l’uomo si incrina, si rovina… Tutti noi siamo capaci a far del male, ma quasi mai, poi, sappiamo rimediare al male fatto. Hai ferito qualcuno? Puoi chiedere scusa, puoi fargli del bene… ma il male che gli hai fatto resta, non lo puoi più togliere, e ti rimane il rimorso, rimane la paura che torni, rimane il sospetto… Che grande rovina il peccato! Che stupida irreparabile rovina!!!
Ci vorrebbe un reset totale, un ripartire da capo… una NUOVA CREAZIONE. Ed eccola!!!
Il dono, il per-dono di Dio non è come le nostre umane scuse. Esso è la nuova creazione, che realmente ci libera dal male che ci siamo fatti. Questa nuova creazione, evidentemente, non può essere opera umana, come non lo è stata la prima creazione. E’ cosa da Dio, per questo ci vuole lo Spirito Santo, che è Dio con il Padre e con il Figlio.
Grazie Signore Gesù, perché tramite la Chiesa ci dai davvero questo grande Dono, questo per-dono così inaudito che noi non sapremmo dire né credere, se non avessimo i segni efficaci che sono i Sacramenti!
Buona Pentecoste a tutti!!!

venerdì 10 giugno 2011

10 giugno - festa del Beato Enrico da Bolzano (laico, venerato a Treviso)

Enrico era un operaio analfabeta, nato a Bolzano. Lavorò nel suo luogo di origine e, di ritorno da un pellegrinaggio a Roma con la moglie e il figlio Lorenzo, si stabilì vicino a Treviso.
Aveva preso dimora a Biancade, dove per vent'anni fece il boscaiolo e l'uomo di fatica. Ormai vecchio, mortagli la moglie, si recò nella vicina città di Treviso, dove visse abitando in una catapecchia in via Canova, messagli a disposizione da un notaio, e mendicando non per sé ma per i poveri della città: in particolare si impegnava con coraggio e costanza a strappare ai nobili e ai ricchi commercianti consistenti contributi per i più sfortunati. Il vescovo stesso e il signore della città (un da Camino) non gli ricusavano il loro aiuto. A Treviso, come già nella sua Bolzano, fu assiduo alla santa Messa e alla Comunione; pare che visitasse ogni giorno tutte le chiese della città, dormisse su un miserrimo giaciglio, portasse un ruvido saio, fosse dedito a estenuanti veglie di preghiera.
La tradizione attribuisce ad Enrico (“o vero o non vero che si fosse”, come dice il Boccaccio) l'intercessione per numerosi miracoli già da vivo, ma soprattutto dopo morto. Alla sua morte tutte le campane della città avrebbero iniziato a suonare insieme senza che nessuno le azionasse, tradizione citata anche da Gabriele D'Annunzio. Enrico divenne presto popolare in tutta l'Italia del Nord, dove gli vennero dedicati altari ed affreschi in molte chiese (per esempio Santa Toscana a Verona). A Treviso confluivano annualmente migliaia di pellegrini a lui devoti perché lo riconoscevano vicino ai poveri, ai mendicanti, agli emarginati.
Di lui, come detto, si hanno riferimenti già nel Decameron. Così Boccaccio (II giornata, novella I):
«Era, non è ancora lungo tempo passato, un tedesco a Trivigi chiamato Enrico, il quale, povero uomo essendo, di portar pesi a prezzo serviva chi il richiedeva; e con questo, uomo di santissima vita e di buona era tenuto da tutti. Per la qual cosa, o vero o non vero che si fosse, morendo egli, addivenne, secondo che i trevigiani affermano, che nell'ora della sua morte le campane della maggior chiesa di Trevigi tutte, senza essere da alcun tirate, cominciarono a sonare. Il che in luogo di miracolo avendo, questo Enrico esser santo dicevano tutti; e concorso tutto il popolo della città alla casa nella quale il corpo giacea, quello a guisa d'un corpo santo nella chiesa maggior ne portarono, menando quivi zoppi, attratti e ciechi ed altri di qualunque infermità o difetto impediti, quasi tutti dovessero dal toccamento di questo corpo divenir sani.»
Il corpo del beato Enrico è oggi conservato e venerato nella Cattedrale di Treviso, presso un altare laterale vicino all’ingresso, primo santo che accoglie i fedeli all’entrare in chiesa, compagno dei poveri, dei pellegrini, di quelli che siedono negli ultimi banchi e di quelli che entrano in chiesa per la "porta" della carità fraterna.