Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre", rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.
Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. (2Cor 4,5-7)

domenica 6 novembre 2011

Il cortile e la porta (di don Stefano Didonè) - Riflessione in merito all'Anno della fede indetto da Benedetto XVI

L’indizione dell’anno della fede da parte di Benedetto XVI attraverso il Motu proprio “Porta fidei” è un evento che interpella tutta la Chiesa, chiamata continuamente a riscoprire e a rinnovare la professione del proprio credo in un contesto sociale e culturale fortemente secolarizzato e postcristiano. Che la questione della fede nel suo insieme abbia assunto toni drammatici nel contesto occidentale è una consapevolezza ben presente in tutto il magistero di Papa Benedetto: «Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, (...), oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone» (n. 2).
La riflessione teologica, che nella Chiesa svolge il servizio ministeriale di approfondire sistematicamente le “ragioni” del credere ed i “contenuti” della fede, è direttamente interpellata dal compito proposto dal Santo Padre, che in fondo rappresenta un invito alla conversione nel modo di pensare la fede, ovvero nel modo di pensare Gesù come unico Salvatore. Suggerisco qualche sottolineatura nel n. 10 del testo papale che può essere utile per accogliere l’annuncio di questo anno come occasione favorevole anche per il cammino della nostra Diocesi, impegnata a riflettere sulla “fede adulta”, cioè sulla maturazione della fede nella coscienza del battezzato.

Le due dimensioni della fede
La prima sottolineatura riguarda la straordinaria capacità del Papa di tenere unite le due dimensioni fondamentali della fede: quella oggettiva (ciò in cui si crede) e quella soggettiva (l’atto del credere). L’equilibrio tra queste due dimensioni è magistralmente formulato in un passaggio: “Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso” (n. 10). Dopo aver citato Rm 10,10 e l’episodio di Lidia (At 16,14), il Papa aggiunge: “Il cuore indica che il primo atto con cui si viene alla fede è dono di Dio e azione della grazia che agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo”. Queste parole mettono bene il rapporto tra la libertà e la grazia, cioè del concorso tra l’apertura del cuore e la trasformazione di esso realizzata dall’amore di Dio. La libertà, che si esprime attraverso l’agire e le decisioni, scopre che quando si tratta della fede il suo primo “atto” è - paradossalmente - un “dono”. Scopre, cioè, che la decisione di credere è già un frutto della grazia, cioè dell’iniziativa gratuita di Dio in Gesù, che precede ogni tentativo di “risposta” da parte dell’uomo. Appunto perché la libertà è quel singolare dono di Dio che abilita l’uomo a porre la stessa domanda su Dio.

La sincera ricerca dei non credenti
La seconda sottolineatura riguarda il passaggio sulla ricerca della fede: “non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico «preambolo» alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio”. In effetti, di per sé la fede non esige anzitutto “premesse razionali” o “dimostrazioni razionali” dell’esistenza di Dio, ma una libertà che si riconosca come aperta alla grazia. Se ciò che qualifica l’umano è la libertà, è proprio attraverso la libertà che la grazia agisce. Qui possiamo rintracciare la continuità tra la necessità di varcare la soglia della fede e l’opportunità di aprire un dialogo con quanti si pongono in sincera ricerca della verità. In questo senso l’iniziativa del “Cortile dei Gentili” acquista ancora maggiore rilievo: se il “cortile” è lo spazio aperto per il dialogo, il Motu proprio ricorda la necessità del passaggio attraverso la “porta” della fede perché la libertà dell’uomo trovi compimento. Così come non c’è fede senza libertà, non c’è vera libertà senza Cristo. Su questo rapporto si fonda la spinta missionaria della Chiesa, chiamata a comunicare la fede sempre come esperienza di grazia e di gioia.

don Stefano Didonè
(Docente di Teologia fondamentale presso Istituto Teologico affiliato Treviso - Vittorio Veneto)
Giovedi 3 Novembre 2011 - Da "La Vita del Popolo", settimanale della diocesi di Treviso

martedì 1 novembre 2011

per tutti i Santi... e aspiranti tali!

Un giorno, mentre camminava con una consorella lungo il Sile, suor Bertilla disse: “Se noi corressimo verso la perfezione come quest’acqua corre verso il mare, saremmo fortunate”. 
Per chi non conosce Treviso, il Sile è un fiume di risorgiva che nasce in pianura, nelle paludi di Casacorba, passa per Treviso lento e sinuoso, e non ha nessun impeto nel correre verso il mare. Il suo nome, Sile, deriva da "silens", silenzioso, perchè scorre calmo, apparentemente fermo, verso la laguna e il mare... 
Eppure basterebbe la calma del Sile nel camminare, quasi inosservati, verso la santità...
A tutti questo augurio, per la Solennità di tutti i Santi